Nato a Ziracco, piccolo borgo rurale della campagna udinese ( prov. di Udine), di umili ma dignitose origini che non ha mai rinnegato. Esordisce a soli 23 anni di età in quel di Udine   Pochi anni dopo viene ascoltato a Milano, dove si era trasferito per lavoro e per poter studiare canto, da Rudolf Bing e portato sulle scene del Metropolitan di New York  deove debuttò nel 1960 come sommo sacerdote nel Nabucco (Zaccaria Cesare Siepi il basso ufficiale del Met e di cui Giaiotti era il doppio) e lasciò il massimo teatro americano nel 1989 con alcune recite di Barbiere di Siviglia. Possiamo dire, parlando dei suoi partner che partì da Zinka Milanov per arrivare a Kathleen Battle, passando per la Steber, la Tebaldi, la Bumbry e l’Arroyo. Simile la carriera all’Arena di Verona dove, lasciato il lavoro invernale al Met e nei teatri americani, il nostro cantante si trasferiva per essere la colonna portante in corda di basso delle stagioni, che comprendevano sempre Aida, spesso Nabucco, Forza del destino ossia titoli dove Giaiotti era una assoluta certezza cui si aggiunsero ora Gioconda, ora Simone, che nell’anfiteatro veronese sono certamente più rari . Ed all’Arena di Verona Giaiotti si presentò dal 1963 al 2001.  Giaiotti mise piede in Scala solo nel 1985 quale conte Rodolfo per una Sonnambula, montata per June Anderson che, complice Gavazzeni, diede del proprio meglio per non  rendere soporifero il capolavoro belliniano. Giaiotti è sempre stato una sicurezza per i teatri: disponeva della vera voce di basso, di una preparazione tecnica, che gli consentiva di essere insostituibile o quasi nelle parti verdiane con una predilezione (forse un poco costretta dal carattere e dal tempeamento) per i ruoli sacerdotali e ieratici. La corda satanica gli era assai più estranea, anche se le interpretazioni del Mefistofele italiano e francese sono memorabili. Giaiotti è stato senza alcun dubbio l’ ultimo grande basso di scuola italiana erede di una tradizione che nel nostro secolo. Allo stesso modo di altri artisti come Renato Bruson e Maria Chiara, Giaiotti era infatti un cantante che oltre al giro dei grandi teatri praticava volentieri anche i palcoscenici di provincia ed era pressoché di casa nelle stagioni estive dell’ Arena di Verona, della Rocca Brancaleone di Ravenna e dello Sferisterio di Macerata, Terme di Caracalla e le stagioni estere. Nel 1971 appunto all’ Arena, come Ramfis in un cast di quelli assolutamente impensabili al giorno d’ oggi formato, oltre che da lui, da Martina Arroyo, Fiorenza Cossotto, Carlo Bergonzi e Giampiero Mastromei. Dopo pochi giorni fu Zaccaria nel Nabucco insieme al grandissimo Cornell MacNeil e a Luisa Maragliano, altra grande voce oggi pressoché sconosciuta ai più. Proprio in questi due ruoli cantati in decine di volte nei teatri italiani, Bonaldo Giaiotti ha dato le interpretazioni più complete in assoluto degli ultimi decenni per l’ autorevolezza del canto e di un fraseggio che l’ ascoltatore riconosceva immediatamente come “giusto” e perfettamente verdiano (e non solo) nel rilievo conferito alla parola scenica. A Bologna il basso friulano fu Fiesco e Giovanni da Procida, a Genova Noè in una ripresa del Diluvio Universale di Donizetti ed a Torino Enrico VIII nella Bolena. Il repertorio praticato nei teatri italiani ci dice che Giaiotti era in grado di spaziare dai ruoli di basso autentico (fu al Met spessissimo il Commendatore) a quelli di basso baritono perchè Enrico VIII presenta, quand’anche scorciato dei passi acrobatici del terzetto all’atto secondo una scrittura acuta. Poi possiamo aggiungere per la completezza del ritratto e della memoria di un professionista solido ed esemplare che l’interpreta non era pari al vocalista. Il ruolo del repertorio italiano che per il basso è il paradigma del ruolo da intepretare oltre che da cantare ossia Filippo II non fu molto praticato da Giaiotti non lo fu nei teatri dove Giaiotti rappresentava una colonna, ma quando lo fece dimostrò grande autorevolezza e sicurezza interpretativa.   Una cosa è certa, risparmiarsi, presentarsi impreparato, non dare il meglio di sè erano estranei alla personalità ed all’etica di Bonaldo Giaiotti che, senza dubbio, nei teatri italiani non ha avuto quello che la presenza vocale meritava e che avrebbe potuto essere in certo repertorio (ad esempio al Cardinale di Ebrea a Marcello di Ugonotti) un valido motivo per riproporre quei titoli. Certa critica afferma  che forse in parte (ma non è vero) mancava al basso friulano  il talento scenico e l’ istrionismo attoriale di artisti come Nicolai Ghiaurov e altri, che a quell’ epoca erano infatti i bassi quasi sempre presenti nelle incisioni delle grandi case discografiche, ma non gli mancava il gigantismo vocale forse superiore ai suoi illustri colleghi. Forse è questo il motivo per il quale Giaiotti non è rappresentato in maniera pari al suo valore nelle registrazioni ufficiali, anche se il cantante udinese ci ha lasciato ugualmente alcune splendide testimonianze in questo campo come ad esempio il Conte Walter nella Luisa Miller DECCA con Montserrat Caballè, Luciano Pavarotti, Sherrill Milnes e la direzione di Peter Maag, il ruolo di Ferrando nel Trovatore della RCA diretto da Zubin Mehta con Leontyne Price, Fiorenza Cossotto, Placido Domingo e Sherrill Milnes, il Padre Guardiano nella Forza del Destino incisa da James Levine nel 1976 sempre per la RCA e con i medesimi protagonisti, Timur nella Turandot pubblicata nel 1966 dalla EMI con Birgit Nilsson, Franco Corelli e Renata Scotto, oltre alla bella videoregistrazione dei Vespri Siciliani bolognesi diretti nel 1986 dall’ allora giovanissimo Riccardo Chailly con un cast che accanto a Giaiotti come Giovanni da Procida presentava Susan Dunn, il compianto Veriano Luchetti e Leo Nucci negli altri ruoli principali. Non si può fare a meno di citare qui anche la splendida caratterizzazione drammatica conferita da Giaiotti al ruolo di Alvise Badoero nella Gioconda, interpretato più volte al Metropolitan accanto a Renata Tebaldi, sempre all’ Arena con quello che fu uno dei più grandi cast mai costituiti in teatro, formato da Ghena Dimitrova, Maria Luisa Nave, Luciano Pavarotti e Piero Cappuccilli.  Oggi è pressoché impensabile assistere a recite di tale livello con cast così importanti. Una produzione discografica di straordinario valore è l'incisione del Requiem di Verdi presso la Lukaskirche a Dresda ex Germania est, con Ljilijana Molnar, Margarita Lilova, Luigi Ottolini, diretta da Giuseppe Patanè e la Rumdfunk-Sinfonie-Orchester Leipzig, una peoduzione semisconosciuta tornata alla luce dopo il crollo del muro di Berlino e pubblicata dalla Edel Classic rintracciabile su Amazon o iTunes, opera in cui la vocalità di Giaiotti appare delicatamente gigantesca. Anche se la discografia si è dimenticata di lui, la sua grandezza artistica è stata impressa nella memoria di coloro che hanno potuto assistere alle sue interpretazioni nei più grandi teatri del mondo ma anche nelle piccole sale di piccoli centri esclusi dai grandi circuiti lirici. Ricordiamo la insuperabile interpretazione dell'Attila all'arena di Verona del 1985, qualche frammento su Youtube ( eccolo è quello il bieco fantasma), dove la sua magnificenza vocale si espresse in modo sublime.

Una generosa ma molto rigorosa biografia di Bonaldo Giaiotti  pubblicata di Rino Alessi, arricchita tra le altre cose da una bellissima documentazione fotografica, di  Bonaldo Giaiotti stesso. Seguono poi diverse testimonianze di colleghi che hanno lavorato insieme a lui, di giovani cantanti che da lui hanno ricevuto insegnamenti e impulsi artistici e di amici personali. Una dettagliata analisi delle incisioni ufficiali e dal vivo completa il ritratto biografico insieme a una cronologia completa delle recite cantate da Giaiotti in tutta la sua carriera. In complesso, un lavoro di eccellente livello la cui lettura è da consigliare a tutti gli appassionati d’ opera e che rappresenta un giusto omaggio a una voce che non va assolutamente dimenticata.  Spiace per quelli che non ammettono confronti col passato, ma il pubblico teatrale di oggi, sempre disposto a gratuite standing ovations molto spesso rivolte ai mediocri, dovrebbe tenere molto più presente il ricordo e soprattutto l’ esempio di voci come quella di Bonaldo Giaiotti. Una rinascita del teatro d’ opera è possibile solo a questa condizione. In questo senso, l’ impegno divulgativo di Rino Alessi è sicuramente più che lodevole e speriamo che il libro abbia la diffusione che merita.